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Le feste religiose

(Dalla Monografia di Damiano Pipino)

Sono l’unica occasione per mutare, sia pure per qualche giorno, l’abituale monotonia. In queste ricorrenze i contadini tirano fuori i loro antichi vestiti di velluto nero e di foggia tradizionale. Le classi giovani, però, "ngegnano" (mettono per la prima volta) i vestiti che si fanno fare per l’occasione. Sia gli uni che gli altri si vedono in giro impacciati nei vestiti che non sono di tutti i giorni.
Vanno in Chiesa ed assistono alla funzione con molta devozione; devono entrarci tutti quanti anche se devono stare uno sull’altro. Dopo la funzione, che di solito finisce a mezzogiorno, ha luogo la processione, alla quale non manca nessuno, eccetto coloro che sono veramente impossibilitati, ma anche questi trovano il modo per veder passare il Santo. La processione, accompagnata da antichi e moderni inni ecclesiastici dei fedeli, si snoda lungo un susseguirsi di vichi angusti e pieni di ostacoli, tuttavia riesce sempre bene dato il massimo impegno dei partecipanti. Sebbene il tragitto non sia molto lungo, un buon chilometro, il corteo impiega più di un’ora siccome, spesso, si deve fermare per dare modo, ai devoti di offrire al Santo la cento, la cinquecento oppure la mille lire. Qualche volta si trova l’emigrato in ferie che offre il marco o la sterlina. Quando, però, si tratta di moneta cartacea il devoto ci tiene ad appuntarla personalmente al "palio" (una specie di stendardo), facendo in modo che tutti lo notino.
Poi la processione giunge al Monte (piazza Umberto I); qui il Santo viene rivolto verso la località Baraccone ove è preparato il fuoco d’artificio. I fuochisti, premurosi ed attenti, accendono le micce e quindi le bombe detonano forte in aria, mentre a terra schioppetta la batteria. Dopo la gran parte dei cittadini commenta se il fuoco ha risposto al prezzo pagato dal comitato o meno. Vi è sempre qualcuno che malignamente dice: e sarebbe stato meglio chiamare i fuochisti di Tolve anziché quelli di Tricarico o viceversa. Poi la processione riprende il suo corso e rientra in Chiesa, mentre tutte le campane del maestoso campanile suonano festosamente.
Nel pomeriggio tutti affluiscono al Monte per assistere e concorrere alla vendita all’asta di qualche agnello, maialetto o formaggio offerti dai devoti, il cui ricavato serve per le spese della festa. Seguono i giuochi tradizionali: la corsa nel sacco e la rottura della "pignata" (recipiente di terracotta con dentro qualcosa, legato è sospeso ad un filo, che i concorrenti devono rompere con un bastone e gli occhi bendati, fra l’entusiasmo chiassoso della folla).
In serata nella piazza principale vi è la banda musicale che esegue qualche marcia. Quando viene quella di S. Mauro Forte esegue anche qualche "arrangiamento" tratto dalle Opere liriche ben conosciute, perché ascoltate per tanti anni. Veramente da qualche anno viene anche l’orchestra con le chitarre elettroniche e con i cantanti moderni, ma i vecchi non sono d’accordo: dicono che è scandaloso.
Nell’ intervallo, tra un concerto e l’altro, si passeggia per il corso principale, ove l’aria è resa irrespirabile dal fumo dei fornelli disposti per le strade all’aperto, su cui cuociono "i gnummariedd’", (involtini fatti di interiora di agnelli o capretti) di cui un po’ tutti sono ghiotti.
Alla fine ancora il fuoco d’artificio serale al Baraccone. La cittadinanza è tutta schierata al Monte ancora una volta e, mentre i fuochi artificiali vanno colorando il cielo notturno, la banda deve suonare qualcosa, anche se i musicanti sono stanchi e mezzi addormentati. Scoppiate che sono le ultime bombe la popolazione stanca, e quasi delusa, va a casa, sparendo in fretta come spazzata dal vento.