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La festa del maiale

(Dalla Monografia di Damiano Pipino)

Nei mesi di dicembre e gennaio, quando la temperatura si fa particolarmente rigida, in ogni famiglia, prima o poi, si ammazza il maiale. La povera bestia, che durante l’anno ha avuto tutte le cure e le attenzioni per crescere ed ingrassare bene, affronta ora il "sublime" sacrificio per assicurare ai padroni il beneficio delle buone salsicce, prosciutti. sugna e quant’altro di buono si può ricavare di esso. Viene, perciò, acceso un gran fuoco nel camino, su cui si mettono a bollire grosse caldaie di acqua; si affilano i coltelli; si approntano gli ingredienti ed i vari recipienti. Quando l’acqua sta per bollire, gli uomini preparano "‘u haut’" (una specie di vasca in legno a forma rettangolare), in prossimità del camino. Questo, in un primo tempo, è messo capovolto per terra e fa da mattatoio. Sopra di esso, infatti, viene sdraiato il maiale e, mentre alcuni uomini lo tengono forte per le zampe, un altro, più esperto, gli punta un coltellaccio nella cavità sotto il collo e lo affonda nel petto fino a ferire il cuore. Poi estrae il coltello e dalla ferita, piuttosto piccola, sgorga fumante e schiumoso il sangue che va a cadere in un recipiente messo sotto appositamente. Man mano che il maiale si dissangua le sue alte grida, che in principio sembrano umane, si affievoliscono ed infine si trasformano in un rantolo. Poi il maiale rimane moribondo per un certo tempo e con le palpebre socchiuse, fra le quali si intravedono gli occhi dallo sguardo non del tutto spento. Dopo di che si rigira la cassa, il maiale ormai morto viene messo dentro e subito ricoperto di acqua bollente, quindi viene pelato in ogni sua parte per mezzo di appositi coltelli. Quando è ben pulito gli vengono praticati due fori alle zampe posteriori, nei quali va infilato il "trapet’" (arnese in carpino a forma di bastone curvo che fa da tira-piedi), per mezzo del quale viene issato al soffitto con una fune che è legata con un capo al centro del "trapet’", l’altro capo va fatto scorrere attraverso un grosso anello in ferro piantato nel soffitto (quasi tutti i soffitti delle case sono muniti di questi anelli). Una volta appeso, il corpo del maiale viene spaccato nettamente in due dal bacino al collo, vengono tolte le budella e rimane appeso li ad asciugare fino all’indomani.
La casa, con questo maiale spaccato ed appeso al centro, perde quell’aspetto di miseria, che aveva prima, e sembra così. diventata all’ improvviso una casa ricca, addirittura la più ricca, ove non si bada al risparmio e tanto meno allo spreco. Infatti, piccoli e grandi, per quel giorno, sono autorizzati ad andare a ritagliare pezzetti di carne del maiale e dalla parte migliore, che mangiano avidamente dopo averli fatti arrostiti sulla brace a mezzo di spiedi improvvisati, ed accompagnano gli squisiti bocconi con vari bicchieri di buon vino conservato, da tempo, per l’occasione. Così facendo, a tarda sera, sono tutti attorno alla brace del camino sazi ed alquanto brilli, con le spalle rivolte al maiale straziato che, tuttavia, sembra li guardi ancora attraverso le palpebre socchiuse, con l’aria quasi soddisfatta, come se comprendesse che il suo estremo sacrificio è servito a fare un po’ felici, una volta tanto, i suoi padroni.
L’ indomani viene accuratamente selezionato e, a punta di coltello, ridotto a pezzettini, di cui si fanno le squisite salsicce che vengono subito appese vicino alla cappa del camino, ove rimangono ad asciugare col fumo e le correnti d’aria per una ventina di giorni. Della parte grassa si ricava la "sugna" entro la quale vanno conservate poi le salsicce. Delle estremità si fa la "salamura" o "ncantarata" (si conservano sotto sale in appositi recipienti di terra cotta). Delle cosce posteriori si fanno i prosciutti. Del fegato ed altre interiora si fanno "i tumacell’" (involtini), che si soffriggono nell’olio e poi si conservano pure nella sugna.
Il tutto costituisce una prelibata provvista che va consumata per secondo, nei giorni di festa durante l’anno. La squisitezza delle salsicce, in particolare, si può definire unica e quasi confermerebbe l’idea che le salsicce stesse sono veramente di origine lucana.